venerdì 9 dicembre 2011

Obama rilocalizza l’auto negli Usa (”modello Marchionne”)

Da "Estremo Occidente" di Federico Rampini




La prossima generazione di Ford Fusion, il modello medio nella gamma della casa automobilistica, sarà prodotta nello stabilimento di Flat Rock, Michigan. Finora quelle auto venivano assemblate solo in Messico. Un’altra fabbrica Ford, nel Kentucky, sfornerà quei veicoli commerciali che finora venivano prodotti in Turchia. La Ford ha anche deciso di rimpatriare sul territorio Usa la produzione di una scatola del cambio che comprava da un fornitore giapponese, e di una pompa d’iniezione del carburatore che finora era made in China. Miracolo? Improvvisamente si scorgono i segnali di un’inversione di tendenza: dopo un paio di decenni di delocalizzazioni, l’industria automobilistica americana sta cambiando direzione di marcia. La ri-localizzazione negli Usa non riguarda solo Ford. La sua principale concorrente, General Motors, ha fatto un passo ancora più audace, decidendo di fabbricare nel suo stabilimento di Lake Orion (Michigan) addirittura la Chevy Sonic, praticamente un’utilitaria per gli standard del mercato americano. Finora si pensava che le fabbriche americane non sarebbero mai state competitive per le vetture così piccole. Quello che sta accadendo nell’industria automobilistica non è un caso isolato. S’inserisce in una strategia che l’Amministrazione Obama ha perseguito con tenacia: rilanciare la vocazione manifatturiera degli Stati Uniti, anche con l’aiuto di sgravi fiscali mirati. Certo non nuoce il fatto che dalla crisi del 2008 in poi il dollaro sia stato piuttosto debole, se misurato in confronto al paniere di valute dei principali partner commerciali: l’evoluzione della parità di cambio ha contribuito a un recupero di competitività. Ma la spiegazione principale sta altrove. E’ nelle concessioni sostanziali che l’industria ha negoziato con i sindacati. All’inizio queste concessioni furono una conseguenza della grande crisi del 2008-2009 che portò alla bancarotta di Gm e Chrysler (ma non Ford). Per salvare il salvabile, in termini di occupazione, il sindacato metalmeccanici Uaw ratificò un doppio regime salariale, coi nuovi assunti a metà paga. Ora però quel sistema diventa permanente. E’ il risultato dei nuovi accordi firmati alla Gm e alla Ford per il contratto collettivo di lavoro. Ecco un esempio di come funzionano. La Ford paga 100.000 dollari di buonuscita (Gm un po’ meno: 75.000) per ogni colletto blu della vecchia “aristocrazia operaia” che accetta di andarsene. Questi sono dipendenti che ricevevano un salario di 28 dollari l’ora, più un’assicurazione sanitaria e un contributo al fondo pensione aziendale assai generosi. I nuovi assunti – 12.000 alla sola Ford da qui al 2015 – devono accontentarsi invece di un salario di 19 dollari all’ora. E’ meglio delle condizioni negoziate nel 2008, quando i salari d’ingresso erano addirittura a 14 dollari, ma è pur sempre un arretramento sostanziale. Non basta a compensarlo né il “premio anti-inflazione” tra i 6.000 (Ford) e gli 8.000 dollari (Gm), né la compartecipazione agli utili che quest’anno varrà 3.700 dollari per il dipendente medio della Ford. Se questa è la condizione per frenare le delocalizzazioni, si capisce perché il concetto stesso di una middle class americana – che includeva i colletti blu quando erano “aristocrazia operaia” – si stia svuotando di significato.

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