venerdì 30 settembre 2011

Vogliono liquidarci. Dimostriamogli che non glielo lasceremo fare

In queste settimane si giocano il futuro e la possibilità di sopravvivenza di Liberazione. E con essa delle oltre cento testate giornalistiche, nazionali e locali, che verrebbero inesorabilmente falciate se il Fondo per l'editoria, già drasticamente ridotto negli ultimi anni, venisse ulteriormente decurtato. Non di qualche euro ma, come al momento dicono le poste messe a bilancio, della metà: dai 180 milioni del 2010 ai 90 del 2011. Ora proveranno a spiegarci che in un quadro di tagli alla spesa pubblica come quelli che il Paese è chiamato a sopportare, anche l'editoria deve fare la sua parte. Somma ipocrisia. Non soltanto perché la riduzione delle competenze del Fondo hanno assunto proporzioni neppure lontanamente paragonabili ai tagli "lineari" imposti dal governo con la manovra, ma perché il pluralismo e la libertà di informazione, elementi costitutivi e irrinunciabili della democrazia, dovrebbero pur valere un pugno di quattrini. E' persino superfluo dedicarsi a dimostrare come ciò che si spenderebbe in ammortizzatori sociali per offrire qualche tutela alle 4.000 persone che a seguito della chiusura seriale di decine di testate perderebbero il lavoro supererebbe ampiamente le risorse necessarie per reintegrare il Fondo. E' superfluo perché il problema che abbiamo di fronte non è - con tutta evidenza - economico o contabile, ma politico. L'articolo 21 della Costituzione recita che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di informazione». E il Fondo per l'editoria fu appunto costruito, nei primi anni ottanta, proprio per evitare che questa prescrizione rimanesse nient'altro che una petizione di principio, considerato che fare un giornale vero costa e che, in assenza di un sostegno pubblico, finirebbero per andare in edicola solo ed esclusivamente fogli con alle spalle editori e finanziatori ricchi, gruppi industriali e finanziari espressione di precisi interessi. Quanto poi accade con i flussi pubblicitari - non solo quelli di provenienza privata, ma anche quelli degli inserzionisti istituzionali - fa capire come si può strangolare l'editoria libera e indipendente. Pressoché tutta la pubblicità viene infatti drenata da pochi grandi gruppi editoriali. Ci sono quotidiani che su sessanta pagine ne impegnano trenta con la pubblicità. A noi, ed ad altri come noi, non restano neppure le briciole. Insomma, occorre capire che lor signori stanno in questi giorni provando a compiere - sul terreno dell'informazione - quello che attraverso la legge elettorale già è avvenuto sul piano della rappresentanza politica istituzionale: spegnere le voci sgradite, quelle non addomesticabili, non manipolabili. Per piccole ed oscurate che siano, esse danno comunque fastidio, impediscono che vengano soppressi punti di vista critici e che pezzi di realtà sociali e politiche non omologati al mainstream vengano cancellati. In questi anni si è ripetutamente quanto inutilmente tentato di selezionare i destinatari del Fondo, per evitare che testate dotate di autentiche redazioni, di dipendenti, giornali veri, insomma, che vanno regolarmente in edicola, con un pubblico di lettori altrettanto vero e consolidato, convivessero con profittatori del tutto privi di tutti questi requisiti. Avventurieri che lucrano indebitamente su risorse pubbliche che dovrebbero essere loro precluse. Il paradosso è che, in assenza di criteri rigorosi di assegnazione del Fondo, i giornali degni di questo nome saranno cancellati, mentre le decine di Lavitola che affollano questo ginepraio senza regole, sopravviveranno, potendosi avvalere - come ognuno può intuire - di altri munifici benefattori che correrebbero in loro soccorso potendo attingere a ben muniti forzieri: così si butta il bambino e si tiene l'acqua sporca. Ora, è dunque evidente che noi non questuiamo elemosine, ma rivendichiamo un diritto. E difendiamo il pluralismo dell'informazione. Che «non si mangia», come direbbe Tremonti, ma che è un cardine della democrazia.
In questi giorni cruciali noi daremo battaglia, senza risparmio, e mettendo in conto, se necessario, anche atti clamorosi. Lo faremo insieme agli altri giornali come noi sotto schiaffo, e insieme alle associazioni sottoscrittrici del del documento che oggi pubblichiamo.
Punto e basta? No! Qui finisce un discorso e se ne apre un altro, che rivolgo direttamente ai nostri lettori, alla comunità politica che si riconosce nella nostra impresa, nel partito che ci edita. Sì, cari compagni e care compagne, perché se il sostegno pubblico al nostro giornale è un diritto che a buon titolo rivendichiamo, con altrettanta e certo non minore determinazione, questa necessità dovrebbe essere avvertita da ciascuno e da ciascuna, come un imperativo. Non gliela fai a vincere l'accanita resistenza che abbiamo di fronte, se tu per primo, se tu per prima, non investi nella tua missione, in ciò in cui credi, o non lo fai a sufficienza. E diventa poco credibile lo stesso ambizioso ingaggio nella rifondazione comunista se non riesci, a partire dalle tue forze, a tenere in vita il tuo giornale, il solo veicolo di controinformazione e di critica politica che quotidianamente arriva - nelle edicole, con la posta oppure on line - in tutto il Paese.
E allora, mentre battiamo il chiodo perché sia garantita la congruità del finanziamento pubblico, dobbiamo noi, noi comunisti, compiere l'impresa più grande. Che vuol dire tre cose: dare impulso alla campagna di abbonamenti, per arrivare, a fine anno, a quota 1500, il doppio di quelli sottoscritti alla data odierna; promuovere la sistematica diffusione del giornale, in particolare l'edizione domenicale, attraverso un vero e proprio piano che accompagni la campagna congressuale; lanciare una sottoscrizione straordinaria, di proporzioni e rilevanza tali da compensare il colpo di scure che dovesse abbattersi su di noi. Questo comporta - per essere chiari - che sappiamo recuperare un milione di euro. E' possibile ottenere che mille persone (oltre a tutti/e coloro che quotidianamente si tolgono di tasca anche piccole somme per tenerci in vita) investano mille euro su Liberazione?
Nelle mie peregrinazioni domenicali, per le feste che questa estate il partito ha organizzato un pò ovunque in Italia, ho incontrato centinaia di persone che rappresentano un formidabile giacimento di energie, una risorsa politica e morale a cui oggi occorre rivolgersi come nei momenti estremi.
Il governo, i potentati che ammorbano l'aria di questo Paese, ed anche quanti pensano sia giunto il momento di disarcionare il Cavaliere, sono però solidalmente uniti nel volerci annientare. Ebbene, mandiamogli a dire, soprattutto dimostriamogli, che non glielo lasceremo fare.

di Dino Greco (il fatto quotidiano)

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